Lavoro in remoto, approccio agile, nuove modalità di fare business. Il contesto di oggi richiede ai manager nuove competenze ma soprattutto la capacità di trovare nuovi equilibri, mettendo in discussione le certezze del passato. Ne parliamo con Leopoldo Ferrè, CEO e partner di Exeo Consulting.
Leopoldo, il Covid ha messo in crisi il vecchio modo di essere manager?
Un approccio manageriale di stampo tradizionale poteva funzionare in un contesto economico di crescita, ma nel contesto di crisi di oggi non avere determinate competenze può diventare un problema.
La distanza fisica che ci separa dai colleghi ci invita a trovare nuove strade per essere comunque “presenti” e creare un contatto con il nostro team. La motivazione deve rimanere alta e le persone vanno stimolate anche attraverso l’ascolto, il confronto e la vicinanza emotiva.
Se non riusciamo ad entrare in una modalità più empatica rischiamo di perdere per strada numerose informazioni.
Come si può creare una relazione più empatica da dietro uno schermo?
Anche durante una video call si può creare lo spazio per parlare di noi e fare due chiacchiere in maniera informale. È giusto mirare alla massima efficienza ma serve un equilibrio con il nostro lato più umano, la capacità di rallentare e di riprenderci quella pausa caffè che facevamo in ufficio.
La sfida del manager è quella di agire con empatia in un mondo come quello digitale che implica un grande sforzo di programmazione.
Se prima ci bastava alzare il telefono o cambiare stanza per parlare con un collega, ora bisogna fissare la call in agenda.
Anche un meeting con pochi colleghi ha bisogno di essere schedulato in anticipo.
Da un lato ci è richiesta una forma mentis più quadrata e razionale, dall’altro lato dobbiamo diventare più flessibili, in grado di cambiare scenario e agenda velocemente per trovare spazi di confronto con gli altri. Siamo in un contesto dove il manager deve essere veloce e paziente, efficiente ed empatico, strutturato ma flessibile, assertivo e al tempo stesso coinvolgente.
Non deve essere facile per un manager raggiungere questo equilibrio…
No certo, ma è indispensabile. Siamo entrati in un’era dove non possiamo più controllare fisicamente cosa sta facendo il team. Per questo dobbiamo lavorare in profondità sul briefing iniziale, fissare dei momenti di check, stabilire dei risultati attesi e delle scadenze ambiziose ma fattibili.
Il ruolo del capo è quello di indicare la destinazione, ma la modalità per arrivarci spetta ai collaboratori. La gestione a distanza deve portare a una maggiore autonomia e responsabilizzazione delle persone.
E il capo deve fidarsi a prescindere?
La fiducia è l’elemento cardine. Ovviamente di alcune persone ci fidiamo di più, di altre meno, ma se non partiamo con tutti da un atteggiamento di fiducia non riusciremo mai a trasmetterla.
Intendo quella fiducia dove il manager dialoga con le persone in maniera non direttiva, condivide informazioni, pone delle domande e aiuta il collaboratore a costruire un pensiero autonomo, partendo dal presupposto che ce la possa fare.
Tutto questo ha valenza soprattutto in uno scenario di lavoro in remoto?
Non solo. Oltre al lavoro in remoto ci sono altri 2 elementi di contesto determinanti.
Il primo è legato all’attuale situazione di crisi dove bisogna farsi venire nuove idee, trovare modalità diverse con cui fare business, cogliere le incredibili opportunità della trasformazione digitale. Il mondo non è più come prima e al manager è richiesta la capacità di gestire il lavoro e le risorse in maniera diversa.
Il secondo punto è l’approccio agile in base al quale oggi si lavora per tentativi, sperimentando e imparando dagli errori, pianificando e ripianificando. Se prima commettere un errore era un peccato, oggi è una opportunità per cercare una strada migliore.
Alcuni manager sono troppo legati alle dinamiche del passato per fare questo scatto in avanti?
Gli eventi di marzo hanno obbligato tutti a fare un bagno di realtà. Un capo che guida il team a distanza ha capito che in questo nuovo contesto il metodo di prima non funziona ed è quasi obbligato a ripensare al suo ruolo in una chiave più empatica.
Anche l’emergenza sanitaria ha dato una forte spinta in tal senso. Quando la priorità della vita diventa la salute ci sentiamo più vicini. Il “come va” acquisisce un significato più vero ed è più facile trovare un “noi” che guidi le nostre azioni.
Oggi vedo maggiori spiragli per una condivisione a livello valoriale, per lavorare in azienda sull’essere e non solo sul fare, per allinearci su un piano più alto legato più al why che al what.
Questa evoluzione valoriale diventerà permanente anche finita l’emergenza?
Dipende. Non possiamo pensare che il seme germoglierà se non gli diamo l’acqua per crescere. Se questa evoluzione non la si alimenta e non la si esplicita rischia di tornare indietro come un elastico.
Tra i tanti lati negativi di questa crisi abbiamo comunque ricevuto in dono una grande opportunità. Ora sta a noi integrarla in una nuova normalità.
(Photo by bruce mars on Unsplash)