Meno peso ai titoli, più valore ai driver motivazionali e alle soft skill. Nei percorsi di assunzione dei giovani, sia nel pubblico che nel privato, si stanno facendo strada diverse metodologie che affiancano alla valutazione del curriculum, la misurazione del potenziale di ogni candidato. Ne parliamo con Daniela De Luca, partner di Exeo Consulting.
Daniela, come vengono assunti i giovani oggi?
Se guardiamo ai concorsi pubblici, in molti casi la selezione avviene attraverso una valutazione dei titoli ed i risultati di test generici. Si tratta di un metodo che risponde anche a una esigenza di trasparenza: quella di avere dei parametri oggettivi su cui valutare in modo omogeneo tutte le persone. Il problema è che i titoli e i test generici da soli non sono un parametro sufficiente per operare delle scelte ottimali. Anche quando, al termine del percorso, è inserita una breve intervista individuale, spesso essa si focalizza su aspetti tecnici e sulla motivazione in generale. Succede nel pubblico ma talvolta anche nel privato.
Cosa c’è di sbagliato in questo approccio?
In questo modo manca completamente una analisi predittiva del potenziale del candidato, una mappatura di ciò che potrebbe essere la persona a tendere, da qui ai prossimi 5 -10 anni. Stiamo parlando per lo più di candidati freschi di università con poche esperienze alle spalle e gli strumenti tradizionali fanno fatica a darci una fotografia completa di quelle che sono le caratteristiche della persona, soprattutto in termini di soft skill, diventate oggi sempre più rilevanti.
Come si affianca l’assessment all’interno di questo processo?
L’assessment mira a valutare prima di tutto la motivazione ad apprendere e ad evolvere come esperienze e come persona. Avere il giusto atteggiamento, curiosità e disponibilità a mettersi in gioco, sono fattori chiave in una logica di medio lungo periodo per un giovane, spesso alla prima esperienza lavorativa, che ha molta strada e molti cambiamenti di fronte a sé, al momento totalmente sconosciuti. Il cuore dell’assessment è comunque mappare le competenze comportamentali (relazionali, gestionali e realizzative ) per capire a che punto sono e come possono evolvere. Questo, in ogni caso, in aggiunta a titoli ed esperienze e, laddove possibile, ad una intervista finale. Soprattutto nel pubblico stiamo parlando di persone che probabilmente lavoreranno con noi per tutta la loro vita lavorativa: è importante capire chi sono oggi ma anche come matureranno nel tempo.
Così facendo non rischiamo di entrare nel campo della soggettività?
Al contrario. Con una selezione tradizionale ci si basa solo su competenze teoriche dichiarate e sulla personalità generica del candidato: sulla sua capacità di vendersi bene e, in tempi di Covid, di “bucare il video”. L’assessment ci permette invece di lavorare sulle evidenze attraverso delle attività in cui posso capire ad esempio chi ha un buon problem solving e chi no, chi ha le capacità di lavorare in gruppo e chi invece è più portato a lavorare da solo.
Quando, ad esempio in concorsi pubblici, ci sono moltissimi candidati, può essere opportuno effettuare una prima scrematura importante sulla base dei titoli affiancata dalla somministrazione di test. La graduatoria che ne consegue diventa la base per accedere all’assessment.
I test utilizzabili devono avere una solida base teorica e una diffusione ampia che possa garantirne la validità; possono essere su specifiche abilità (ad esempio di problem solving) o essere di tipo psicometrico.
Puoi farci qualche esempio di come funziona l’assessment center?
Sono prove/esercitazioni, combinate sulla base del profilo di competenze richiesto, in cui vengono simulate situazioni lavorative individuali e di gruppo. Dall’osservazione dei comportamenti si arriva a poter valutare le capacità comportamentali. In alcuni casi c’è una “risposta” giusta/sbagliata, ma in tanti altri casi non esiste la risposta ideale. Quello che conta è il quadro che viene fuori del candidato per capire se le sue competenze soft sono allineate alle aspettative dell’organizzazione.
E’ possibile svolgere l’assessment anche da remoto, creando dei gruppi virtuali su una piattaforma ad hoc.
Questo porta benefici anche post-assunzione?
Sì assolutamente. Le Risorse Umane e la Linea hanno a disposizione un feedback che gli permette di impostare subito, insieme al candidato, un piano di sviluppo che tenga conto dei punti di forza e debolezza emersi in fase di assessment. Se una persona conosce le motivazioni per cui è stato assunto ed è consapevole ad esempio di essere carente nelle capacità relazionali, fin dal primo giorno potrà mettersi a lavorare sulle sue aree di miglioramento, sul campo ed all’interno di programmi formativi specifici.
Nel prossimo futuro l’assessment diventerà sempre di più la porta di ingresso al mondo del lavoro?
Credo che, anche nella selezione dei giovani, partire da un assessment sia un ottimo investimento sia per un ente pubblico che per una azienda. Lavorare sui driver motivazionali e sulle soft skill aumenta il tasso di fedeltà all’organizzazione e la possibilità che ci sia un reale incontro tra le aspettative del candidato e quelle dell’HR in un’ottica di lungo periodo. Anche a livello di tempistiche, oggi grazie agli strumenti digitali si può far partire un progetto totalmente customizzato molto velocemente. Sono fiduciosa che sempre più realtà adotteranno questa metodologia. Semplicemente perché funziona.
(Photo by Christian Stahl on Unsplash)